Onorevoli Colleghi! - Trascorsi cinquanta anni dai tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale, la Germania si è impegnata a effettuare un risarcimento in favore degli ex deportati nei campi di sterminio nazista K.Z. e dei lavoratori coatti in fabbriche tedesche.
      Purtroppo, per il Governo tedesco i militari italiani catturati dopo l'8 settembre 1943 e trasferiti in Germania per essere addetti al lavoro forzato sono da considerarsi quali «prigionieri di guerra», non suscettibili quindi di alcun indennizzo. Questa posizione si fonda, in realtà, su un clamoroso falso storico, che è stato ben documentato dalle competenti associazioni rappresentative degli ex internati e lavoratori coatti, che più volte hanno richiesto alle massime autorità del nostro Governo di assumere una chiara posizione nei riguardi della Germania, perché venga ristabilita la verità e individuata una soluzione che assicuri un giusto riconoscimento al sacrificio di quegli uomini.
      Citiamo alcuni dati raccolti tra le molteplici fonti a disposizione, tutt'altro che univoche (Carmine Lops, Gabriele Hammermann, Luigi Cajani, Lutz Klinkhammer, Gerhard Schreiber, Claudio Sommaruga, Brunello Mantelli, Gustavo Ottolenghi, Giorgio Rochat, Antonio Rossi, Ministero della difesa, archivio WAST di Berlino, archivi vari italiani e della Repubblica sociale italiana - RSI). Tra i lager di detenzione, 24 furono i K.Z. di sterminio col lavoro forzato (9.550 dipendenze e siti), 850 i lager militari e dipendenze (di cui 142 Stalag e Oflag), 2.000 i battaglioni

 

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di lavoratori militarizzati (Bau/Bahn-Btl) e alcune decine di migliaia di Arbeits Kommando di fabbrica (A.K.). I deportati dall'Italia furono complessivamente un milione, dei quali 716.000 internati militari (IMI), di cui 17.000-21.000 prigionieri di guerra senza tutele (K.G.F.); 170.000 i lavoratori civili liberi (volontari e precettati) e 78.000 i sud tirolesi già optanti per la nazionalità tedesca ed emigrati dal 1938 nel Reich. A questi vanno aggiunti i deportati politici e razziali nei K.Z. e Straflager Gestapo, che furono circa 44.000, dei quali 8.900 ebrei e rom (6.750 ebrei italiani, alcune centinaia stranieri provenienti dal confine francese e da Salonicco e 1.900 ebrei italianizzati del Dodecanneso), 30.000 «oppositori» ex partigiani e gappisti, catturati senz'armi e non giustiziati perché considerati disertori, alcune centinaia di ufficiali antifascisti, 2.200 carcerati militari del carcere di Peschiera. A questi si aggiungono 3.000 coatti IMI (internati nel Reich e nei territori controllati) transitati nei K.Z. e Straflager per lo più per resistenza ideologica, sabotaggi, tentata evasione, infrazioni gravi o altro. Tra questi non solo oppositori, ma anche minatori o lavoratori specializzati adatti a guidare e addestrare i deportati non qualificati. Sopravvissero solo circa 4.000 oppositori politici e meno di un migliaio di coatti IMI, 830 ebrei italiani e 179 dell'Egeo. In queste cifre non sono computati coloro che sono stati sfruttati in Italia dai tedeschi, direttamente nella O.TODT e indirettamente nei battaglioni di disciplina del Genio (alcune migliaia di edili e ferrovieri), già coscritti renitenti della «leva Graziani» e in parte trasferiti come ausiliari della RSI nel Reich.
      La documentata complessità della situazione ha determinato la difficoltà da parte dei deportati di provare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dei benefici di cui alla legge 18 novembre 1980, n. 791 (quali la prova della detenzione nel campo di concentramento oltre che il riconoscimento dello stesso quale campo K.Z.).
      Tutte queste circostanze hanno, inevitabilmente, riportato in piena attualità la vicenda morale e giuridica dei nostri ex internati, moltissimi dei quali a tutt'oggi non percepiscono alcun vitalizio dello Stato italiano.
      Ai sensi dell'articolo 1 della legge 18 novembre 1980, n. 791, ai cittadini italiani che, per le ragioni di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, siano stati deportati nei campi di sterminio nazisti K.Z. è assicurato il diritto al collocamento al lavoro e al godimento dell'assistenza medica, farmaceutica, climatica e ospedaliera al pari dei mutilati e invalidi di guerra e, se hanno compiuto gli anni cinquanta, se donne, gli anni cinquantacinque, se uomini, viene concesso un assegno vitalizio pari al minimo della pensione contributiva della previdenza sociale. Il titolo giustificativo dell'attribuzione di detto assegno vitalizio è costituito, ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 1 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 2043 del 1963, nella deportazione nei campi di concentramento nazionalsocialisti, sottoposti, per l'ultimo comma dell'articolo 10 della legge n. 656 del 1986, alla vigilanza e all'amministrazione della Gestapo e delle SS e destinati a fini di sterminio, deportazione subìta da internati militari in seguito ad atti di resistenza o ritenuti tali o per atti di sabotaggio alla produzione tedesca. D'altra parte, proprio l'impossibilità di desumere fatti e circostanze da documentazione ufficiale ha ispirato la previsione delle facilitazioni probatorie consentite dall'ultimo comma dell'articolo 4 della citata legge n. 791 del 1980. Il 16 febbraio 1998, infatti la Corte dei conti, con sentenza n. 6/98/QM, ha dichiarato che, per la qualificazione di campo K.Z. di sterminio, ai fini della concessione delle provvidenze di cui alla legge n. 791 del 1980, debbono sussistere i seguenti presupposti: 1) natura politica delle cause che ebbero a determinare la deportazione per ragioni di fede, ideologia o razza; 2) gestione della prigionia con criteri politici, in quanto affidata alla polizia politica (Gestapo o SS) che operava con criteri particolarmente afflittivi.
 

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      Alla luce di quanto sopra, risulta perciò evidente l'urgente necessità di un provvedimento legislativo finalizzato ad estendere alla generalità degli ex internati e lavoratori coatti in Germania i benefìci di cui alla legge 18 novembre 1980, n. 791. Innumerevoli sono, infatti, i casi di coloro che si sono visti respingere le domande di assegnazione presentate ai sensi della legge 18 novembre 1980, n. 791, la quale riconosce ai deportati nei campi di sterminio nazista K.Z., un assegno vitalizio. Secondo la vigente formulazione dell'articolo 1, destinatari della legge non sono tutti i deportati, ma soltanto coloro la cui deportazione sia avvenuta solo per i motivi previsti nell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043. La casistica è abbastanza precisa e riguarda tutti coloro che furono deportati per aver compiuto atti relativi alla lotta di liberazione, aver svolto attività politica contrastante con le direttive del regime fascista, essere appartenuti a partiti politici contrari ai regimi fascisti eccetera.
      Oltre all'assegno vitalizio, i beneficiari hanno diritto, se non goduta ad altro titolo, all'assistenza medica.
      Il citato articolo 1 pone, dunque, una limitazione per quanto concerne il godimento dei benefìci, limitazione che la presente proposta di legge intende eliminare, rendendo destinatari dell'assegno vitalizio i cittadini italiani che, per qualsiasi ragione, siano stati deportati nei campi di sterminio nazisti.
      Inoltre, si intende garantire la concessione dell'assegno vitalizio a favore degli ex deportati, innovando la previsione contenuta nell'articolo 2 della citata legge n. 791 del 1980 che, pur non ponendo limiti di tempo per la presentazione della domanda, non chiarisce se l'assegno può essere percepito a decorrere, comunque, dalla data di entrata in vigore della legge medesima o dalla data di presentazione della domanda. In ragione di ciò, si ritiene equo proporre che la decorrenza del beneficio sia legata alla data di entrata in vigore della legge n. 791 del 1980.
      Ne deriva che le domande per ottenere i benefìci previsti dalla suddetta legge, oltre ad essere ammesse senza limiti di tempo, in caso di accoglimento determinano la concessione del vitalizio con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge stessa.
      Inoltre, in merito alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di assegni vitalizi ai deportati nei lager, si prevede, nel caso di diniego dei benefìci, ricorso al Ministero dell'economia e delle finanze, senza alcun limite temporale, ponendo riparo alla iniqua previsione dell'articolo 10 della legge 6 ottobre 1986, n. 656, che limita la possibilità di ricorrere al Ministero al termine quinquennale di prescrizione del diritto.
      Conseguentemente, contro i provvedimenti di concessione dell'assegno vitalizio e contro quelli del Ministero dell'economia e delle finanze di rigetto dei ricorsi amministrativi è ammesso del pari ricorso senza limiti di tempo alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti territorialmente competente.
      Sotto tale profilo, la presente proposta di legge segue a una sentenza pronunciata dalla Sezione giurisdizionale per il Piemonte della Corte dei conti, che ha accolto, attesa l'estrema difficoltà di reperimento di documenti ufficiali, il principio di semplificazione probatoria e di interpretazione estensiva dei benefìci di cui alla citata legge n. 791 del 1980, sostenuto dall'avvocato Luca Procacci, difensore di un ex internato, nei confronti del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (sentenza 12 febbraio 1998, n. 391).
      Infine, la concessione dell'assegno vitalizio, contrariamente a quanto prevede oggi la legge che individua nel solo deportato il beneficiario, è reversibile senza limiti di tempo per i familiari superstiti nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano stati riconosciuti invalidi a proficuo lavoro. Tale assegno vitalizio compete altresì al coniuge e ai figli, senza limiti di tempo in ordine alla presentazione della relativa domanda, di quanti siano stati deportati e non abbiano potuto usufruire del beneficio perché deceduti in deportazione o successivamente.
 

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